Cultura e Società

La rivoluzione industriale a Valguarnera nei primi del Novecento

Il diario sbucato dal cassetto di famiglia è quello di Ignazio Merlisenna. A romanzarlo abilmente ci ha pensato il nipote, Florindo Arengi, saggista e scrittore per vocazione, già membro dell’«Associazione Sanitari Letterati e Artisti Italiani». Ne è nata una pagina di storia della prima metà del Novecento, giusto il periodo annotato dall’allora giovane Ignazio e rielaborato dall’autore con scrupoloso rispetto della verità fattuale e cronologica.
Il racconto – contenuto nella raccolta «Su per la salita del pero», La Moderna Edizioni – offre una rappresentazione della vivace imprenditoria caropepana degli inizi del secolo di cui lo stesso Merlisenna fu protagonista. La presenza delle zolfare e le dinamiche immigratorie conseguenti favorirono la crescita di numerose attività economiche, cosicché nel 1910 a Valguarnera c’erano fabbriche di calce idraulica, di mattoni, due mulini, un pastificio e persino un cinema e una fabbrica di gazzose. «Lo stabilimento», come lo chiamavano, ovvero quel mulino e pastificio impiantato da Salvatore Dell’Aria nel 1890, dava lavoro a circa 120 persone, risultando tra le più importanti realtà dell’allora provincia di Caltanissetta. Funzionò, come tutti gli altri opifici, con motori a nafta o a carbone fin quando «La rivoluzione industriale arrivò a Caropipi con la società elettrica del commendatore Serra che nel 1926 vinse l’appalto comunale per l’illuminazione dell’intero paese».
C’era divario sociale, a quel tempo. E anche miseria. Ma il fervore che si coglieva e il desiderio di sperimentare vie nuove, facevano affermare a Ignazio che «Il nostro non era un paese povero e non era nemmeno un paese di povera gente». Le zolfare a far da motrice, certo. Ma tutt’intorno era un pullulare di gente affaccendata «che per evitare di morire in miniera» s’inventava ogni genere d’attività.
Merlisenna fu tra questi. Tantoché a venticinque anni aveva già fatto il meccanico, il calzolaio, l’elettricista, l’operatore del cinema, aveva lavorato in un mulino, aveva fabbricato gazzose e aperto un magazzino di materiale elettrico con perfetta tempistica sull’epoca nuova che stava arrivando.
L’incontro col commendatore Serra fu di quelli che segnano. Quell’uomo aveva investito in paese ingenti capitali. Oltre ad essere tra i maggiori azionisti della società elettrica, era membro del consorzio zolfifero siciliano e proprietario della miniera Destricella a Raddusa. In contrada Càstani costruì una fabbrica di ghiaccio, una di alcool, una stalla con sessanta vacche modicane e un caseificio. E aveva già appoggiato a Merlisenna l’appalto per l’illuminazione privata del paese. «Ignazio mi serve la luce in campagna», disse. E dopo la luce Ignazio si occupò dei motori e poi del funzionamento della fabbrica per intero. L’amministrazione invece passò al perito minerario Giovanni Monica, già direttore della stessa Destricella e consigliere delegato della società elettrica.
Frattanto, lo stabilimento Dell’Aria chiuse e in paese non c’era più un pastificio. Alcune tra le caropepane «ripresero a fare la pasta in casa, mentre altre se la facevano comprare a Catania assieme agli scialli colorati da mostrare di domenica alla matrice». Merlisenna e Monica fecero questi discorsi «passeggiando dal Canale al municipio» e ne maturarono il significato sociale. E da lì a raccogliere le ceneri di Dell’Aria e avviare un mulino e un pastificio il passo fu breve. La pasta confezionata nella carta gialla con su il nome della società cominciò a uscire dai locali contigui alla società elettrica. Si vendeva bene. E un anno dopo la SAVIE (Società Anonima Valguarnerese Industrie Elettriche) incorporò entrambi gli opifici collocandosi di fatto tra le più grandi imprese della provincia di Enna.
Poi fu l’Etiopia, l’addestramento nella Milizia, il mulino requisito per esigenze belliche, i bombardamenti. La guerra che tutti sbaraglia e tutto distrugge. «E non ci fu più tempo per niente».

Salvatore Di Vita