Cultura e Società

La notte di Capodanno di Francesco Lanza nel 1929

Nel 1929 lo scrittore Francesco Lanza per sostenersi lavorò come giornalista al «Tevere» di Roma, il quotidiano fascista diretto da Telesio Interlandi. Lo misero a scrivere i resoconti della capitale. E non doveva esserne molto contento: «Faccio una vitaccia – scriveva all’amico e maestro Nino Savarese – ti dico solo che lavoro di notte alla … cronaca! Non pensavo mai di andare a finire così».
Lo immaginiamo in quella notte di Capodanno, da solo, nei locali della redazione deserta, quando scrive quel pezzo immaginifico pubblicato l’indomani. «Addio all’anno vecchio», questo il titolo, con cui «mandando per una volta a quel paese i doveri del nostro ufficio, la cronaca e la velina della questura, saluteremo festosamente come tutti gli altri umani l’anno che nasce e danzeremo ebbri sul cadavere dell’anno che muore». Vagheggia il nostro nell’articolo: «urleremo, fischieremo, strombetteremo a tutto spiano. E non avendo vecchi vasi di coccio, giare e orciuoli da fracassare, lanceremo contro i muri tutti i calamai di redazione, i tavoli e le sedie. Ma poi sfogata così un poco la nostra orgiastica effervescenza e dileguati i fumi della nostra ebbrezza, non riusciamo a comprendere il perché di tanto giubilo. Quale cieca insensata leggerezza spinge gli uomini a distaccarsi con tale senso di festa dall’anno che muore? A salutare con tanta speranza e fiducia l’anno che nasce, il tempo cioè che scorre, la vita che si consuma? Invece che di un anno in più, essi sembrano ignorare che si tratta di un anno di meno».
Lanza, che nella sua produzione giornalistica rifugge spesso dai «doveri» della cronaca per rifugiarsi nella narrazione letteraria a lui più congeniale, nell’articolo ha accostato efficacemente due momenti di per sé antitetici. Quello dello stordimento travolgente della festa; e l’altro, più accorto, da sapiente osservatore delle cose degli uomini, della riflessione esistenziale sulla «consumazione finale», legata piuttosto all’anno che nasce che a quello che se ne va.
L’articolo, da allora mai più ripubblicato, è stato recentemente ritrovato a Roma dallo scrittore Enzo Barnabà che, insieme al webmaster Sebastiano Giarrizzo, cura il sito francescolanza.it. Lì è possibile leggerlo integralmente in una rassegna di pezzi (molto incompleta) tutti del ‘29 pubblicati dallo stesso giornale.

Salvatore Di Vita