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RICORDANDO TOMASO LOMONACO

Credo che per capire chi realmente fosse Tomaso Lomonaco, bisogna risalire alla Valguarnera della sua infanzia, agli anni che precedono la Grande Guerra. Il padre Alfonso possedeva una merceria(1) che si affacciava in piazza Lanza, era fratello del parroco della Matrice e, al tempo dei Fasci Siciliani, esercitò la carica di consigliere comunale. Una famiglia della piccola borghesia ben inserita in un paese dinamico ma, per quanto riguarda la maggioranza della sua popolazione, tutt’altro che benestante. I tre fratelli maschi ebbero la possibilità di fare studi universitari. Dotati e volenterosi, si laurearono tutti e tre e, trasferitisi a Roma, fecero brillanti carriere. Peppino, il maggiore, divenne capo compartimento nelle FS ed Alfonso, il più giovane, direttore generale al Ministero dell’Industria(2). Alle tre femmine, come si usava, dopo le elementari non fu concesso di continuare gli studi: “cauzetta” e dietro al bancone della merceria ad aiutare i genitori, in attesa di marito. L’ideologia dominante in famiglia era quella della “dottrina sociale” veicolata dallo “zio vicario” attraverso il vescovo Sturzo, lontana sia da quella reazionaria degli agrari che da quella del socialismo “ateo e sovversivo”.

Tomaso (Croce, all’anagrafe e in famiglia) fu amico del quasi coetaneo Francesco Lanza che apprezzava e a cui voleva bene, ma del quale non condivise le pulsioni rivoluzionarie del primo dopoguerra. Erano, comunque, diversi: tanto l’uno era ancorato alla razionalità prammatica del pensiero scientifico, quanto l’altro si serviva delle parole come di tappeti magici che gli permettessero di volare per esplorare l’universo. Tra le due famiglie esisteva una notevole intimità, ma, come ebbe a dirmi uno dei tre fratelli, “I Lanza, dotati di genio inventivo, sono in fondo dei sognatori”. Più chiaro di così!

Tomaso Lomonaco era fratello della mia nonna materna e non a caso siamo ambedue nati (a 43 anni di distanza) nella casa di famiglia in via Treves. Solidi legami tenevano uniti il nostro gruppo familiare. Pur abitando a Roma e venendo raramente in paese, la presenza di zio Tomaso in quella casa si toccava con le mani. “A scrvùt Cruc? Quan è ch s marìta Cruc?”. Questa del matrimonio fu davvero un cruccio (mi si scusi il bisticcio) cui finalmente fu posto fine dalla notizia del fidanzamento con Grazia Cascino, nipote del generale inventore della “valanga che sale” al quale Piazza Armerina aveva dedicato il monumento che sappiamo.

Quando andai ad abitare a Roma, lo conobbi meglio e potei avvalermi della sua calorosa accoglienza. Dopo pranzo, sorseggiando un cognac, mi illustrava le sue considerazioni che miravano a conciliare fede e ragione, le stesse che nel 1985 espose poi per iscritto nell’opuscolo “Riflessioni di un medico ottuagenario”. A me, inveterato positivista, sembrava che, nel tentativo di dimostrare l’indimostrabile, zio Tomaso si arrampicasse sugli specchi. Non trovai mai, però, il coraggio di dirglielo.

Mi preme chiudere formulando un auspicio. Girata la pagina che opportunamente ha voluto ricordare Tomaso Lomonaco, mi pare necessario che il nostro smemorato paese si ricordi di Girolamo Valenti, un valguarnerese che ha svolto un ruolo di tutto rilievo nella storia dell’emigrazione italiana negli USA. Informiamoci ed agiamo: il dovere della memoria non fa sconti.

Enzo Barnabà

1. La stessa che negli anni 1960 diventerà “merceria Campione”.
2. Al suo funerale, avvenuto a Valguarnera negli anni 1970, molti si stupirono nel vedere sfilare una corona inviata dal ministro Andreotti.