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Dalla frontiera. Tra Sicilia e Francia

Nel mio nuovo libro – “Il Passo della Morte”, Edizioni Infinito, dicembre 2018 – nel quale traccio la storia e l’attualità della frontiera tra Ventimiglia e Mentone, non potevo non citare Antonio Aniante, lo scrittore di Viagrande che fu collega di Francesco Lanza alla redazione del “Tevere” e che trascorse nella città di confine l’ultima parte della propria vita. Pochi sanno che Antonio Rapisarda (questo era all’anagrafe il suo cognome) previde con largo anticipo l’aggressione alla Francia del 1940. Il libro nel quale venne congetturato l’evento,  intitolato “Mussolini”, fu pubblicato nel 1932 a Parigi da Grasset e non è mai stato tradotto in italiano.  La cosa è ineluttabile, scrisse Aniante, poiché è nella natura del fascismo far guerra alla Francia. Per motivi identitari più che politici. L’Italia non può sottrarsi al confronto con la “cugina d’Oltralpe” ed ha sostanzialmente due vie davanti a sé: rafforzare la parentela o negarla. Il fascismo la sua scelta l’ha fatta, così come l’aveva fatta Crispi, convinto com’era che la Francia fosse la “nemica naturale” della neonata nazione italiana (“In Mediterraneo ci sono due potenze: noi e loro” – pensava lo statista di Ribera – “e dunque: o noi o loro”).

In effetti, già dopo l’unificazione, si fa strada il timore che il potente Impero transalpino riduca la neonata Italietta al rango di satellite, un timore che spesso si trasforma in quella gallofobia che il deputato ennese Napoleone Colajanni combattè con energia come allorquando denunciò la “fake” del “trattato di Bisacquino” secondo la quale i fascianti (alias, i socialisti) siciliani erano stati pagati dall’“oro francese” per sovvertire l’ordine istituzionale. Naturalmente, materia per alimentare il contenzioso tra le due nazioni non ne mancava. La presunta ingratitudine italiana, per esempio, che teneva in scarso conto il determinante apporto francese nel processo unitario (con il corollario dei tanti transalpini  morti a Solferino per fare l’Italia, per esempio). O, dall’altro lato, le recriminazioni relative all’“indebita appropriazione” della Tunisia.

Sarebbe tuttavia un errore sottovalutare l’aspetto culturale. Si è convinti che la letteratura italiana non possa neppure lontanamente competere con quella francese. È ovviamente un errore, ma questo pensano tutti su scala planetaria, per così dire. Giovanni Verga, per quel poco che è conosciuto al di fuori dei nostri confini, appare come un semplice allievo di Zola. Manzoni arriva solo alla caviglia di Hugo che viene letto da tutti i popoli. La nota rivalità tra Mario Rapisardi (all’anagrafe, anche lui Rapisarda, un cognome, si direbbe, inviso agli scrittori) e Carducci si alimentava anche del contenzioso su chi fosse il vero referente italiano dello scrittore parigino.

Ma torniamo all’oggi. Nel mio libro, delineo la storia e l’attualità della frontiera tra Ventimiglia e Mentone. Nella città di confine, la gallofobia e il sovranismo la fanno da padroni, riemerge un’identità imperniata sull’opposizione “noi (i buoni)/loro (i cattivi)”. Non mancano le “fake” come quella del “franco coloniale” o quella salviniana dei pendolari “letteralmente vessati ogni giorno alle frontiere francesi da controlli che durano ore” (controlli dei quali io che attraverso la frontiera non meno di due volte al giorno non mi sono ancora accorto). Sono brutti tempi, mi dico, per chi, come me, ha scelto di venire a vivere qui sul confine sperando di assistere, come avrebbe voluto Leonardo Sciascia, a sinergiche strette di mano tra le due sorelle latine.

Enzo Barnabà

(immagine: un ritratto di Antonio Aniante e la copertina del suo libro su Mussolini)