Cultura e Società

UN’ENNESE FUORI DAL COMUNE

Ethan era gonfio fino all’inverosimile. Tutti i tessuti erano imbibiti dal liquido fuoruscito dal sangue. La pelle era macerata. Si stava decomponendo da vivo. Aveva addosso un vestito di lana a maglia, forse l’unico mai avuto. I fili si erano a poco a poco insinuati nelle croste delle ferite che sviluppava continuamente a causa di questa lenta decomposizione. Puzzava come una carogna. Aveva un anno; qualche mese prima era stato recuperato da una latrina nella quale, dopo esservi caduto, era rimasto per alcuni giorni. In ospedale l’avrebbero lasciato morire. Al medico che lo visita – l’ennese Cristina Fazzi – non resta altro che portarlo in casa propria dove sarà salvato ed entrerà a far parte della grande e gioiosa famiglia composta dai molti bimbi zambiani – la vicenda si svolge infatti nell’Africa nera – che la dottoressa (nubile) è andata adottando nel corso degli anni.

Cristina ha narrato, assieme alla giornalista Lidia Tilotta, le sue vicende africane in un libro appassionante e ben scritto: “Karìbu. Lo Zambia, una donna, una grande avventura”, Infinito Editore, 2022. L’intensa foto della copertina non proviene da un’agenzia; ritrae l’autrice che abbraccia l’ultimo dei suoi figli ed è stata scattata dal primo di essi: Joseph Maboshe Fazzi. Raramente una copertina ha saputo interpretare meglio i contenuti di un volume.

Da poco laureata, Cristina si era recata in Zambia a sostituire per qualche tempo una collega. Dopo ventidue anni, è ancora lì: la partenza le sarebbe apparsa come una diserzione. Una doppia scelta di vita: quella di esercitare “la professione più bella del mondo” (affermazione del suo amato padre, medico anch’esso) e di praticarla dove c’è più bisogno. Appena arrivata, era rimasta senza fiato contemplando il cielo notturno: “Sembrava tempestato di brillanti purissimi. Stelle di tutte le dimensioni che luccicavano in modo diverso l’una dall’altra. Un cielo immenso con l’orizzonte reso assai lontano dalla vicinanza dell’equatore”. Nulla a che vedere con quello siciliano cui era abituata. Si trova in un altro continente, quasi un altro pianeta. Anche la geografia umana è del tutto diversa. Cultura e tradizioni vanno osservate e studiate. Bisogna rispettarle, rinunciando alle tentazioni neocoloniali e conservando quanto di buono esse contengano.

Ci sono però anche tante tristi realtà difficili da accettare. La giovane ennese è fortemente colpita dagli abusi esercitati sulle donne, frutti di un maschilismo che può andare ben al di là della sottomissione: violenze sessuali sistematiche; omicidi (financo quello della femminuccia, nel caso di gemelli, presso alcune etnie); il ripugnante rituale che impone a una donna di assistere alla decomposizione del corpo del capotribù; l’obbligo di “restituire” tutti i beni di famiglia ai parenti del defunto marito, imposto alle vedove che vengono così gettate sul lastrico; eccetera, eccetera.

Cristina è l’unico medico in una zona vasta quanto mezza provincia. Deve praticare tutte le specialità: pediatria, chirurgia e quant’altro. Un lavoro massacrante che la mancanza di elettricità rende più difficile: talvolta è costretta ad operare al lume di una lampadina tascabile; può capitare che chi tiene la torcia, alla vista del sangue, svenga, imponendo di chiedere aiuto a un paziente in attesa…

Leggendo il libro, vien fatto di chiedersi da dove provenga l’energia non comune della protagonista. Scorrendo le pagine, troviamo elementi di risposta. All’età di otto anni, Cristina segue il papà nel suo giro di visite. (Siamo nella Enna degli anni Settanta.) Percorsa una specie di trazzera, si apre la porta di una grotta buia. È lì che abitano i ragazzini da visitare. Il degrado è enorme. Mentre si chiede del perché di tanta ingiustizia, alla bambina viene da piangere. La sua solida famiglia le trasmette forza ed anche una profonda federeligiosa: è lontana mille miglia dalla “saggezza popolare” – refrattaria al messaggio evangelico – che si esprime in proverbi quali quello che a Valguarnera pronunciamo “Nan far ben ch mal t n ven”.

La riflessione sull’Africa non può finire dopo aver voltato l’ultima pagina del libro. Facendo tesoro dell’umanità di Cristina (non è casuale che la parola “karìbu” che dà il titolo al volume, significhi “benvenuto”) e dell’immagine equilibrata (lontana dai “buonismi” e dai “cattivismi” abituali) che ci fornisce del continente, credo bisogna chiedersi quale sia la risposta da dare alla spinta verso l’Europa che anima molti giovani africani e che quotidianamente tocchiamo con mano.

 

Enzo Barnabà

(Autore di due libri sull’Africa nera: “Sortilegi”, scritto assieme a Serge Latouche, Bollati Boringhieri, 2008 e “Il Viaggio di Cunégonde”, Siké, 2018.)

 

PS1. Al fine di riflettere sull’ultima osservazione, mi permetto di suggerire a chi conosce il francese la lettura di questa mia recensione di un libro di capitale importanza sull’argomento: A propos de “la ruée vers l’or – la jeune Afrique en route pour le vieux (…) – La Sociale (la-sociale.online).

  1. La prima edizione di questo articolo è stata pubblicata da www. dedalomultimedia.it.