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“Che cos’è la verità storica.” Il commento a caldo di chi ha assistito al convegno sui Fasci Siciliani.

Il 28 dicembre scorso si è svolto a Valguarnera presso il Circolo Unione il convegno intitolato “I Fasci Siciliani nell’attuale provincia  di Enna. Riflessioni in occasione del loro 120° anniversario”. Il giorno dopo l’evento abbiamo ricevuto una mail da un nostro lettore con alcune considerazioni. Come siamo soliti fare pubblichiamo quanto ricevuto ed abbiamo approfittato per chiedere al nostro responsabile Culturale, Prof. Enzo Barnabà, un suo commento.

Che cos’è la verità storica. Riflessioni a margine di un convegno
Sono di ritorno da un convegno a cui ho partecipato sui
Fasci siciliani nel territorio ennese: una iniziativa lodevole per il 120° anniversario, voluta dalle amministrazioni comunali di Assoro, Pietraperzia e Valguarnera; eppure, credo, ampiamente deludente sul piano delle risposte, dei contenuti.

A parte l’intervento del prof. Franco Amata, “storico di professione”, che ha fatto un quadro socio-economico esaustivo dell’ultimo ventennio del XIX secolo, all’interno del quale prendono forma i sommovimenti che poi esploderanno nel fenomeno oggetto del convegno, le altre relazioni sono cadute pienamente, a mio avviso, nei due rischi a cui una siffatta tematica, ampiamente esplorata dalla storiografia – diversamente da ciò che ho sentito stasera -, si presta: quello di effettuare la c.d. “contabilità morale”, cioè dare valore storico a un evento solo per il fatto – certamente cruento e tragico – che vi sono stati dei morti, ovvero quello di attribuire forzatamente a un accadimento e ai suoi protagonisti caratteristiche e ambizioni che, invece, una lettura accurata e ponderata della documentazione d’archivio sostanzialmente smentisce.

Non entro nel merito degli argomenti dei relatori, con i quali mi sarebbe piaciuto interloquire se fosse stato aperto il dibattito; tuttavia, al termine dell’iniziativa mi è sovvenuto un dubbio che mi riguarda, che riguarda tutti quelli che si occupano di storia: chi avrà capito perché, nella tortuosa vicenda siciliana, il movimento dei Fasci è stato importante? E’ questo, secondo me, che preliminarmente il pubblico avrebbe voluto sapere e che, credo, non sia riuscito a comprendere. Se chi fa storia non è capace di rispondere a quesiti del genere, a che – a chi – serve quello che scriviamo? Come si può pensare che semplicemente per il fatto che tu stia leggendo un documento “antico” l’uditore si interessi alla – e addirittura comprenda la – questione oggetto dell’incontro?

I documenti, le stampe, le fonti in generale parlano, certo, ma servono orecchie per sentire ciò che dicono e parole per rivelarne il senso; “abbisognano di infinite mediazioni” – come dice il mio maestro -, ed è proprio questo il mestiere dello storico: ascoltare, osservare, mediare, confrontare e interpretare. Se ciò non viene fatto, potranno organizzarsi anche cento convegni su un argomento, ma i potenziali “ricettori” non se ne faranno nulla di quello che lì hanno sentito, e ciò amplierà – ancor più di quanto non sia già adesso – il solco tra il racconto storico e la vita quotidiana delle persone, che contiueranno a considerare questa disciplina estranea e, soprattutto, incapace di dire/dare qualcosa del/al loro percorso.

Sulla scorta di queste considerazioni, giunto a casa, ho sentito l’esigenza di rileggere le riflessioni di Miguel Gotor sulla “verità storica”; tema arduo, non c’è dubbio, anche se non di rado frequentato nella metodologia storica.

Carmelo Albanese
Dottore di Ricerca – Università di Firenze

 

Gentile dott. Albanese,

ho letto con interesse la sua lettera a www.valguarnera.com, che la redazione mi invita a commentare nella mia qualità di responsabile culturale del sito. Lo faccio volentieri anche se non posso estrarmi dal mio ruolo di relatore e di autore di un saggio sull’argomento.

Lei sostiene che l’idea del convegno era lodevole ma che i risultati sono stati deludenti. La ringrazio per il primo giudizio poiché, come sa, l’idea di proporre al comune di Valguarnera (gli altri due comuni partecipanti erano solo invitati) di organizzare un convegno sui Fasci nell’attuale provincia di Enna è mia e si è potuta realizzare grazie alla sensibilità del sindaco Leanza e del suo collaboratore Salvatore Di Vita. Il secondo giudizio non può prescindere dalla realtà effettuale e cioè dallo stato di salute in cui versa la ricerca storiografica e la cultura in genere nella nostra provincia. Al di là di aspetti organizzativi sui quali si può discutere (ci si può chiedere, per esempio, se sia stato opportuno concentrare i lavori in un paio di ore piuttosto che spalmarli su un’intera giornata), il convegno ha fotografato quello che passa il convento ennese. Per avere un moderatore si è dovuto attingere al limitrofo pozzo nisseno (In un primo tempo si era pensato a quello palermitano, al mio amico prof. Marino, autorità indiscussa in materia, che però il 28 non si trovava in Sicilia).

Io vivo lontano dall’isola. Essendo un inguaribile ottimista, ero speranzoso che negli (in alcuni degli) altri 19 comuni della provincia si fosse prodotto qualcosa di analogo a quanto elaborato sul 1893 a Valguarnera. Il convegno doveva servire a mettere assieme ricostruzioni, a confrontare analisi e a provare ad operare sintesi. Sbagliavo. Neanche su Pietraperzia si dispone di una ricostruzione (più o meno valida storiograficamente) delle sue drammatiche vicende. Ho sotto gli occhi una storia di Assoro pubblicata nel 1987 che ai fatti del 24 dicembre non dedica neanche un rigo. Negli altri comuni, a parte l’assente ingiustificata Catenanuova, il vuoto è – secondo le ricerche effettuate dagli organizzatori del convegno – praticamente assoluto. Ma non è che Valguarnera sia l’Atene della provincia, tutt’altro. Pensi che, per restare in argomento, il mio libro “I Fasci Siciliani a Valguarnera” si può trovare in una biblioteca specialistica di Tokio (http://www.soc.shukutoku.ac.jp/yokoyama/ITALIA/STYLE/ITALIA_BIB.HTML) o nella Nazionale d’Australia (http://catalogue.nla.gov.au/Record/1654167 ), ma non in quella (peraltro quasi inesistente) del paese. Salvatore Di Vita mi dice di aver avuto molte difficoltà a reperire in paese la seconda edizione, intitolata “Il meglio tempo”, che lo avrebbe aiutato non poco nel suo lavoro di organizzatore del convegno.

Probabilmente sbagliavo nel dare per scontato che tutti i convenuti conoscessero i miei due volumi (prefazionati, sia detto per inciso, dai due maggiori storici siciliani della loro generazione, Francesco Renda e Giuseppe Giarrizzo, ambedue Magnifici Rettori presso le Università di Palermo e di Catania), ma ho preferito seguire le indicazioni del moderatore sapendo bene come le riunioni possano morire per diserzione silenziosa dei partecipanti spossati. Ai miei testi la rinvio. Mi sono limitato ad accennare al mio progetto storiografico relativo alla rappresentatività del campione prescelto. 120 anni prima, sulla banchina davanti al locale in cui si teneva il convegno, Michelangelo Di Dio prendeva la parola. Fu un atto di ribellione quella conquista della parola, quella coraggiosa rivendicazione del diritto alla parola. Un gesto esemplare di quanto intesero fare le classi subalterne siciliane nelle due settimane durante le quali si consumò nell’isola la vicenda dei Fasci.

Cordialmente,
Enzo Barnabà