Riceviamo e pubblichiamo

Incendi, rinnoviamo i nostri boschi prima che ricrescano gli Eucalipti

Ancora una volta e con estremo piacere, pubblichiamo una lettera indirizzata alla nostra redazione da Antonio Speranza che con estrema competenza e con dovizia di particolari tratta il tema del rimboschimento dei nostri territori dopo gli incendi che hanno incenerito valli, colline e monti. Abbiamo letto e riletto l’analisi di Antonio Speranza e la riteniamo talmente interessante da proporla ai nostri lettori.
Arcangelo Santamaria

Gentile Redazione,

speriamo che si sia conclusa per quest’anno la stagione degli incendi che, appiccati da mani criminali, hanno ulteriormente devastato centinaia di ettari della nostra bellissima isola, e non solo.

Tuttavia, mi stupisce come, anno dopo anno, incendio dopo incendio, non ci sia un cambio di gestione dei nostri boschi da parte delle autorità competenti, per lo meno nelle nostre zone.

Non parlo solamente del fatto che i boschi siano abbandonati a sé stessi, dei viali tagliafuoco che, ogni luglio, devono essere ancora completati; non parlo nemmeno dei controlli o di pene più severe. Per farvi capire cosa intendo, vi invito a dare un’occhiata alle mappe della Sicilia riportate in questo link:

https://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_LaStrutturaRegionale/PIR_AssessoratoregionaledelleRisorseAgricoleeAlimentari/PIR_AzForesteDemaniali/PIR_Areetematiche/PIR_programmazione/PIR_PianiDiGestioneForestale/SICILIA_TIPOLOGIA_interno-148%20-160.pdf

Come potete vedere, la provincia di Enna è quella con la maggior superficie di rimboschimenti; una loro parte non trascurabile è costituita da boschi puri di eucalipti, che tuttavia non rispecchiano la vegetazione naturale dell’entroterra siculo. Il significato del rimboschimento non è mettere piante a caso in una zona, ma piantare vegetazione che sia quella nativa o che prepari la vegetazione nativa alla crescita: piantare eucalipti per ombreggiare le giovani querce può andare bene, ma se poi gli eucalipti non vengono estirpati perché i boschi non vengono gestiti, non si raggiunge il fine preposto.

L’eucalipto è una pianta “pirofila”, cioè che ama il fuoco, anzi lo necessita per riprodursi. Non solo il fuoco facilita la germinazione dei semi, ma anche la stessa pianta adulta è strutturata in modo tale da convogliare le fiamme verso l’alto e propagare il fuoco di albero in albero velocemente. La corteccia e le foglie sono piene di oli e resine che, esattamente come avviene coi pini, rende l’albero altamente infiammabile.

Inoltre, le possenti radici sono delle idrovore che seccano il terreno, impoverendolo e facilitando il propagarsi del fuoco. Per l’eucalipto in sé non è un problema, l’albero si rigenera velocemente, ma nel frattempo, propagando il fuoco, ha sterminato i concorrenti, la vegetazione autoctona non può competere con loro in velocità di crescita.

Allora mi chiedo: perché non approfittare di questi incendi per iniziare dei lavori di sostituzione vegetazionale, rinnovando i boschi prima che gli eucalipti ricrescano e, “sarma dopo sarma”, impiegare e diffondere essenze autoctone, che sono anche più resistenti agli incendi? La nostra è zona di castagni, corbezzoli, olmi, aceri, roverelle, oleandri, lentischi, terebinti, mirti, ginestre, lecci, noci, frassini, alberi di Giuda, sughere, bagolari, cipressi, carrubi … e pure salici e pioppi, dove c’è umidità. Un patrimonio enorme di bellezza e biodiversità che oggi è davvero difficile da trovare. Anche i pini fanno parte di questo paesaggio naturale, ma non possono esistere solamente monocolture di pino o eucalipto (vedi il bosco di Floristella…) perché altrimenti è come avere fra le mani una polveriera, aspettando solamente che qualcuno passi con una pietra focaia.

Incendio dopo incendio, la gente si “consola” perché gli eucalipti ricrescono velocemente e ricoprono nuovamente di verde il paesaggio, i pini secchi o rimangono sul posto a memoria di quello che è accaduto o vengono abbattuti, e così facendo si prepara il terreno per la stagione successiva e per i prossimi incendi. E, in Italia, dal punto di vista biologico, un bosco di eucalipti è tecnicamente non funzionante, un ecosistema “morto”, visto che non abbiamo animali adattati a sfruttarlo (a parte le api, da cui ottengono un ottimo miele) o piante in grado di competere con loro.

In Spagna, dove hanno gli stessi problemi nostri, la Società spagnola di ornitologia ha avviato una raccolta firme per bloccare la piantumazione di eucalipti (per chi mastica lo spagnolo la potete trovare qua: https://seo.org/si-a-los-bosques-autoctonos-no-a-los-eucaliptos/ e altre info su https://www.legambienteprato.it/?p=4469 , in italiano). In Portogallo il problema è ancora più grave, visto che è tra i Paesi europei con la maggiore superficie di rimboschimenti a eucalipti, con una lobby molto forte dell’industria della carta: per chi fosse interessato, può saperne di più su https://www.ehabitat.it/2017/08/14/portogallo-eucalipto-incendi-forestali/ ).

Nel nostro piccolo, che possiamo fare? Magari, chi ha una campagna (ma non solo loro) può dare una mano alla nostra vegetazione, chiedendo ai vivai della Forestale piantine di vegetazione autoctona e piantarle poi sui terreni bruciati, incolti o nel proprio appezzamento di terra, in modo tale da dare anche un piccolo contributo alla nostra biodiversità. D’altronde, il mare è fatto da tante piccole gocce, e tutti indistintamente siamo chiamati a fare la nostra parte – anche se ci ostiniamo a guardare dall’altra parte e considerare la cosa pubblica come una cosa di nessuno.

Un caro saluto,
Antonio Speranza