Cultura e Società

LANZA, SAVARESE E… ARENGI ALLE PRESE COL “LUNARIO SICILIANO”

Quanti sanno che nel 1927 ad Enna (da poco non più Castrogiovanni) nacque un mensile di diffusione nazionale? Andiamo con ordine. Francesco Lanza, appena trentenne, ha già alle spalle una notevole carriera letteraria (libri, articoli, teatro) svolta in massima parte a Roma. Tornato in paese, non ha nessuna voglia di iniziare l’attività forense, a cui la laurea un giurisprudenza lo destinava, mortificando la sua vocazione di scrittore. Decide di creare un periodico nel quale parlare della Sicilia contadina, delle sue tradizioni, della sua cultura (mitologia e paladini, per es.), senza escludere quella materiale: coltivazioni, rimedi, fiere e mercati, ecc. Non a caso si sarebbe chiamato “Lunario Siciliano”.

A Valguarnera non esiste una tipografia idonea. Nino Savarese, entusiasta del progetto, suggerisce quella di Florindo Arengi che si trova ad Enna, a due passi da casa sua, nel pianterreno dell’ex monastero di San Benedetto, in via Roma, 324. Ecco come Lanza descrive il lavoro tipografico cui assiste anche il giovane poeta catanese Arcangelo Blandini: “Nessuno di noi potrà dimenticare la tipografia: quei ragazzi di vent’anni che tra canti e motteggi si rigiravano nelle mani, con felice inconsapevolezza, le nostre povere parole paurosamente fermate nel piombo delle colonne, Don Peppino, il rilegatore, in stivaloni e berretta da notte armeggiante zitto zitto attorno alla taglierina e, in mezzo, il rubicondo ed arguto Florindo che acquetava tutte le nostre sproporzionate preoccupazioni pratiche con dei “penso io” pieni di affettuosa prontezza…. Con così poche persone la tipografia era sempre piena: Nino Savarese vi scendeva in vestito da casa dalla sua abitazione vicina, Lanza vi arrivava da Valguarnera tra due ore e Blandini, che passato dal tepore di Catania ai mille metri, in gennaio, lodava astrattamente la salubrità dell’aria fina, battendo i piedi con molta filosofia. E dalla vetrata dietro il bancone del compositore, l’estrema punta di Enna, come estatica in una calma d’acquario, profilava sul cielo l’antico convento di Monte Salvo circondato di cipressi e di olmi”.

La rivista ebbe, oltre agli scrittori siciliani, collaboratori non isolani di notevole spessore, quali Ungaretti, Bacchelli, Soffici e Cecchi. Da rilevare la qualità delle illustrazioni, come quella del catanese Eugenio Fegarotti che rappresenta con ironica simpatia “la città vicina alle stelle” o i purissimi paesaggi del siracusano Francesco Trombadori (vedi, per esempio, quello etneo qui – come l’altra – riprodotto). I due pittori, come gran parte dei collaboratori, erano stati conosciuti dal valguarnerese negli ambienti artistici da lui frequentati durante il soggiorno romano. La “Fiera Letteraria” presentò così il nuovo giornale ai propri lettori: «Ad Enna si è cominciato a stampare un giornale letterario che ha la pretesa di farsi leggere oltre i confini di una regione. Il giornale s’intitola “Lunario siciliano” e, a sfogliare il primo numero, non ci vuole molto a capire che la pretesa è più che giustificata».

Lanza e Savarese agiscono di conserva: ad essi, per esempio, si devono i due articoli di fondo con i quali si apre il primo numero. Ambedue, resistendo per quanto possibile alle sirene della letteratura nazionale, cercano di restare fedeli all’impostazione regionalista (di ampio respiro, come noterà Sciascia) e popolare che hanno scelto di imprimere al periodico. Sul secondo numero, scrivono e firmano insieme un articolo che dà inizio alla battaglia per far ristampare le opere, ormai esaurite, di Giuseppe Pitré (vedi http://francescolanza.altervista.org/lunario-siciliano-2/?fbclid=IwAR0OlQOA-lWb_g-88fq_B51PbEDqevyzrR1mjfXu50kf1_I-h7fIGtND360, p. 3), che per ambedue costituiscono un poderoso patrimonio da tenere in vita. Non stupisca l’appello a “S.E. Giovanni Gentile”, visto che siamo in pieno fascismo. Alcune lettere di Lanza a Savarese sono conservate alla Biblioteca comunale di Enna; se si crede, si potranno leggere cliccando su questo link: http://francescolanza.altervista.org/lettere-a-nino-savarese/. Da segnalare il dibattito sull’opera di Giovanni Verga che si tiene in più numeri del mensile.

Dopo l’uscita del quinto numero, nell’aprile del 1928, anche a causa delle difficoltà economiche in cui versava, il periodico si trasferirà a Roma seguendo il percorso del suo fondatore che nella capitale aveva trovato lavoro.

Mi si permetta di finire citando un articolo di Lanza dedicato a Proserpina, pubblicato sul quarto numero della rivista: “Che deambulatrice non comune ella fosse lo sappiamo dalla sua frequenza al lago di Pergusa, che è a una bella distanza dalla rocca sulla quale era l’abitazione di Cerere; e non è improbabile che in queste sue peregrinazioni un giorno o l’altro ella non si spingesse fino al luogo dove poi sorse il mio paese, le cui valli propinque sono ricche di violette e i colli di funghi e di elegiaci asfodilli…”. Un peccato di campanilismo da cui volentieri assolvo lo scrittore nostro compaesano. E così – ne sono certo – anche i lettori di quest’articolo.

Enzo Barnabà